Avvenire, domenica 18 dicembre 2011, pagina 6
di Pino Ciociola
Uno strudel particolare, dedicato proprio a lui, come… scoprirà oggi Benedetto XVI. È questa la sorpresa che gli hanno preparato per oggi i detenuti di Rebibbia che lavorano nella cooperativa Men at work. Oltre a tanti altri doni e, su tutti, i prodotti che realizzano: «Tutte cose assai semplici e umili, ma che faranno però capire al Papa le capacità che sono state raggiunte », spiega Luciano Pantarotto, responsabile di Men at Work, appunto la cooperativa che a Rebibbia (insieme alla cooperativa E-team) mette a disposizione dei detenuti la possibilità d’imparare un mestiere e poterlo continuare anche usciti dal carcere.
Come vi è venuta l’idea, Pantarotto?
Lo strudel con la sorpresa per il Papa l’abbiamo preparato su richiesta precisa dei ragazzi della cucina. Ma gli doneremo anche i nostri tozzetti con il nostro pan giallo, per esempio.
Grande impegno e dunque grande affetto?
Direi di sì. E poteva essere previsto, ma da tempo c’è un grande fermento fra i detenuti per questa sua visita, e una grande, grandissima attesa.
I motivi?
Beh, intanto, come ha spiegato bene il cappellano don Sandro Spriano, loro non aspettano Benedetto XVI perché pensano di trarne poi un qualche beneficio, magari indulti o amnistie.
Quali motivi quindi?
Ciò che li “intriga”, molto, è avere un incontro con una persona come il Papa, una persona cioè che possa finalmente parlare loro del senso della vita, dell’esistere, dello stare qui. Non vede l’ora di ascoltarlo anche chi non crede. E poi l’altro ieri ho sentito urlare «Ahò, questa è la persona più importante del mondo e viene da noi! Ma ve rendete conto? Viene da noi! È più importante pure del presidente degli Stati Uniti eppure vie’ da noi!».
Emozionante, sì. Decisamente…
Certo, più che emozionante. Quel che li colpisce, a sentirli, è soprattutto che “la persona più importante del mondo” vada a trovare proprio loro, i “reietti”. Ripeto, sono tutti colpiti da questo: anche i non credenti, anche i non cattolici.
Viene da pensare che in qualche modo i ragazzi abbiano preparato con passione ancora più grande del solito quello strudel speciale e quei tozzetti.
Ma assolutamente sì. Anzi, aggiungerei un’altra cosa: insieme al Papa verrà anche il cardinale Agostino Vallini e a un certo punto si staccherà dal gruppo papale per venire a benedire il nostro nuovo “Centro cottura”, che è attivo da sei mesi, ma non è stato mai neanche inaugurato. E ci teniamo tanto alla sua benedizione.
Parliamo del vostro lavoro, Pantarotto: se funziona bene, evidentemente i rapporti sono più che buoni con tutti…
Sì, davvero. Lavoriamo insieme con la direzione del carcere e con il Dap, ma anche con soggetti all’esterno della casa circondariale. Ma del resto, se la direzione non condividesse il progetto, sarebbe impossibile metterlo in pratica. E direi che nel nostro caso il principio della sussidiarietà è realizzato benissimo.
Come, esattamente?
Avviamo corsi di formazione professionale nell’ambito della ristorazione e già questi sono un’innovazione nell’ambito dell’amministrazione penitenziaria. Corso propedeutico alla proposta di lavoro.
Sarebbe a dire?
Da nove anni offriamo tre mesi di formazione gratuita, seguita anche da un educatore professionale, una psicologa e un assistente sociale, per chi ha il desiderio d’avviarsi lungo un percorso di lavoro. Quindi, si ottiene un titolo che, a fine pena, consentirà di lavorare anche nei ristoranti. Finito il corso, i migliori riescono a venire inseriti con salari d’ingresso e nel giro di tre anni possono arrivare anche al contratto pieno. Attualmente trentotto persone lavorano con noi.
E all’esterno a chi fornite servizi?
Ad esempio, con le scuole. Oppure, in questo periodo, facciamo molti cesti natalizi, con dolci, biscotti e quant’altro.
Perché la scelta proprio della ristorazione?
È uno dei settori nei quali c’è maggiore richiesta di professionalità e di capacità, perché è difficile trovare alta professionalizzazione.